Parte I
Il sogno ha la funzione di soddisfare un’esigenza energetico-pulsionale di distensione, servendosi dei desideri aggressivo-sessuali rimossi durante la filogenesi e l’ontogenesi. In questa attività del sognare, vengono consumate le scorie tensionali del sistema (il rimosso). Cioè il sognatore consuma energia riattivando le tracce di movimenti psico-biologici inibiti nella meta e fissati nell’es-inconscio.
Il sogno è azione mentale così come è azione mentale il pensiero.
Il sogno è un tentativo composto di tentativi sovradeterminati, cioè riducibili ad altri più elementari a loro volta riducibili ad altri ancora più elementari e così via.
Si riassume il concetto stabilendo che il sogno ha un contenuto manifesto e molteplici contenuti latenti che corrispondono ad altrettanti desideri specifici inconsci. Il desiderio che li comprende tutti corrisponde all’esigenza di cui ho parlato prima ed è un tentativo di regolare le fasi critiche delle fluttuazioni della tensione neutra. Di solito, ci si occupa del contenuto latente del sogno, tuttavia anche il desiderio manifesto, cioè l’insieme dei tentativi consci espressi nel contenuto manifesto, è degno di essere preso in considerazione.
L’importanza del contenuto manifesto del sogno è fondamentale. E’ infatti la percezione del contenuto manifesto del sogno il dato che ci permette di stabilire l’esistenza del fenomeno. Anzi è il testimone dell’esistenza di un materiale del sonno e del sogno che persiste e fa valere i suoi diritti durante la veglia. Un dato che ricorda che, durante le varie fasi del sonno, esiste un’attività di pensiero chiamata sogno lungo la quale il soggetto compie delle azioni senza muoversi. Cioè cammina, si nutre, combatte, fa all’amore, compie avventure fantastiche dormendo.
Ciò che gli rimane dei tentativi agiti oniricamente, di tutte quelle azioni, è un racconto, un film con un set e un cast onirico, una fabula onirica e soprattutto delle azioni, verbi e sentimenti.
Esempio (sogno 1): “Ho sposato una magnifica ragazza, nobile, alta, bionda, tutta curve. Siamo entrambi vestiti di bianco; ci allontaniamo in un parco stilo austriaco. Incontro un amico e gli dico che mi sono sposato. Lei cammina un poco più avanti, cammina veloce, l’amico resta indietro. Lei va sempre più forte, io la seguo in questo parco incantato. Passiamo attraverso un villaggio medioevale. Non è più con me, va troppo veloce; forse non la vedrò più; ma la seguo lo stesso. L’esperienza è meravigliosa”.
Chi fa questo sogno è un uomo anziano con delle difficoltà di deambulazione e di erezione che tuttavia non gli impediscono di apprezzare le grazie femminili.
Il contenuto manifesto di questo sogno non ha bisogno di commenti e anche il desiderio manifesto è semplice. Questo signore di settant’anni fa in sogno quello che non può più fare in realtà. Elimina in sogno la tensione di stato.
Ed ecco il sogno di un bambino di dieci anni (sogno 2):
“Avevo una pistola; vado in camera da letto. Mia mamma era in bagno, mio papà era appena arrivato. Era sera, mio papà era venuto in camera da letto. Io avevo la pistola. Ho sparato a mio papà. Lui è morto”.
Anche questo bambino realizza in sogno quello che non può fare in realtà: uccide il padre con la pistola, mentre Marco di quattro anni e mezzo (sogno 3) lo uccide in altro modo:
“Hanno bussato alla porta, papà è andato ad aprire e il lupo l’ha mangiato”.
Margherita, che ha tre anni e mezzo, invece elimina il fratellino più piccolo in modo ancora più rapido (sogno 4):
“Alla notte, viene il fantasma e butta il Riccardo giù dal letto; a volte lo porta via e non lo trovano più”.
Potrei portare molti esempi ma, dato che se ne trovano moltissimi in letteratura, mi limiterò a fare una riflessione. Ognuno costruisce il proprio sogno con i mezzi espressivi che ha a disposizione: semplici quando è piccolo, sempre più raffinati quando è adulto.
Il soggetto esprime le sue esigenze omeostatiche di distensione costruendo un sogno riconoscibile in quanto contenuto manifesto, con le modalità espressive del periodo di sviluppo psicobiologico in cui si trova. Tanto più il soggetto è giovane tanto più: a) gli sarà difficile distinguere il contenuto manifesto di un sogno da un accadimento reale; b) il contenuto manifesto del sogno sarà vicino al suo contenuto latente.
Ora, essendo oramai cosa nota che anche il bambino prima di nascere (l’embrione-feto) ha una sua vita protopsichica, molti ricercatori si sono posti il problema dell’attività onirica fetale. Anch’io sono tra costoro.
La mia ipotesi è che la costruzione del contenuto manifesto del sogno segua le stesse leggi dello sviluppo del pensiero e dei suoi codici espressivi figurali e linguistici. 1) Una base sensorio-motoria costruita in utero si struttura in schemi che vengono poi trasformati quando lo sviluppo psicobiologico lo rende possibile; 2) in utero il contenuto manifesto e il contenuto latente coincidono; 3) il codice espressivo è quello motorio; 4) gli stadi di espressività coincidono con gli stadi di sviluppo dei movimenti dell’embrione-feto; 5) esiste uno stretto collegamento tra lo sviluppo del sonno fetale e le trasformazioni dell’espressività onirica dello stesso.
Rispetto al punto cinque la mia ipotesi è che, certe tracce motorie cellulari di movimenti distensivi, accadute durante il sonno sismico e fissate in una protomemoria cellulare, si organizzino. Quando le sinapsi saranno funzionanti e il sonno sismico innescherà (a partire dal settimo mese) il sonno paradossale, si struttureranno in schemi sensorio-motori a loro volta traducibili (probabilmente dopo la nascita) in espressioni figurali e linguistiche.
Il completamento di questa ipotesi è: molecole oniriche cellulari, tracce di movimenti distensivi embrionali si fissano negli schemi sensorio-motori fetali, che a loro volta entrano negli schemi sensorio-motori di sviluppo del pensiero del bambino e da lì vengono poi ritradotti automaticamente in codici di pensiero figurali e linguistici.
Per usare una terminologia micropsicoanalitica posso esprimere il concetto nel modo seguente: le tracce delle esperienze co-pulsionali quantitative fissate nel rimosso, pre-originario, originario e propriamente detto conservano il loro nucleo affettivo primario, mentre i codici che le rendono palesi sia in sogno che nella vita di veglia vengono elaborati da forme sensorio-motorie semplici a forme complesse (linguaggi).
La conservazione per fissazione iniziatica degli schemi sensorio-motori onirici fetali, con le loro variazioni anche traumatiche, fa sì che essi si inseriscano nella componente di espressione motoria contenuta nel linguaggio. Per questa ragione la trasformazione degli schemi sensorio-motori in codici espressivi linguistici è possibile.
Per esempio i sogni in cui viene vissuto il rapporto con gli oggetti topografici della vita quotidiana (dal letto alla camera, dalla casa alla chiesa, dal prato al cimitero) sono la trasformazione figurale e linguistica di tracce sensorio-motorie intrauterine elaborate in schemi topologici impregnati di affetto ed applicabili a situazioni di vita di veglia (non salire in un ascensore) oppure di vita onirica (sognare di strisciare in un cunicolo).
Questo fatto equivale a dire che, a seconda della profondità e dell’intensità della fissazione, lo stesso sogno può essere espresso con contenuti manifesti diversi. Una tachicardia parossistica o una fibrillazione atriale “sine materia”, in questa prospettiva sono l’equivalente motorio a fissazione intrauterina di un sogno di fuga. Voglio proprio dire che l’attacco di fibrillazione è il contenuto manifesto di un tentativo di fuga che potrebbe anche essere espresso con una “fabula” onirica, in cui il protagonista scappa. Un sogno angoscioso da batticuore; un movimento parossistico in cerca di una soluzione che elimini uno squilibrio tensionale troppo intenso.
La distensione, che è probabilmente il tentativo che salva dalla morte, può essere ottenuta con una modalità organica, che è contemporaneamente anche l’espressività psichica del momento in cui il nucleo di fissazione filogenetico si è rinnovato in utero e si è ri-fissato ontogeneticamente. Oppure può essere tradotta in un codice figurale e linguistico più recente e costituirsi nel contenuto manifesto di un sogno.
Ecco un esempio. Il soggetto è un uomo anziano che ha trovato una soluzione farmacologica, dopo anni di sofferenze, ad una fibrillazione atriale persistente. (Sogno 5):
“Questa notte ho fatto un sogno di quelli che di solito precedevano l’uscita dal ritmo sinusale e l’attacco di fibrillazione. Ero con una mia amica in un tunnel vegetale di una foresta tropicale. Gli Indios ci rincorrevano. Ci tiravano delle piccole frecce fatte a spina (la spina irritativa n.d.s.). Mi colpivano nelle cosce e nelle natiche e mi facevano capire che se avessero voluto mi avrebbero ucciso. Finalmente arrivo in una radura, sono salvo. Ho un fastidio in bocca; pazientemente mi estraggo dalla bocca una lunga e flessibile lisca di pesce. Tiro piano piano; viene via quasi tutta. Verso la fine rimane impigliata; non riesco ad estrarla. Sono quasi rassegnato a non estrarla completa ed a romperla. Un pezzetto potrebbe rimanere dentro. Poi ho un’idea e penso che se ruoto il mio corpo di quarantacinque gradi forse riesco a toglierla tutta senza romperla. Così faccio. Tutta la lisca di pesce, una specie di fossile di pesce, esce completa dalla testa alla coda. Pulita, completa. Ho un sollievo immenso. Qualche cosa di immensamente fastidioso che mi si era fissato dentro è uscito. E’ eliminato”.
Una fuga dalla spina irritativa espressa con un codice figurale e verbale al posto dell’attacco di fibrillazione. La stessa persona, dopo circa un anno, porterà in seduta il seguente materiale: “Ieri sera sono andato ad una cena. Ad una certa ora sono rimasto solo con quattro donne. L’ambiente era caldo, loro parlavano con animazione; io non ascoltavo, sentivo solo l’ambiente. Si era creata un’atmosfera uterina, fastidiosa. Non vedevo l’ora di andarmene, ma non riuscivo. Alla notte ho sognato (sogno 6):
“Un giovane va a pescare. Gli dico: Ma non vai a lavorare? Mi risponde: Questa notte di plenilunio, è la mia vita, è la notte scura, non posso rinunciare. Anch’io vorrei andare a pescare, ma il mio amo è rotto. Mi trovo in una casa con tante donne. Nella casa ci sono delle bacheche trasparenti. In ognuna c’è una donna morta. Una apre gli occhi, mi tende la mano, è suadente, mi implora con lo sguardo, le prendo la mano. Esce di scatto: è un vampiro, tenta di mordermi. Gli altri scappano dal sogno. Questa lotta con me, cerca di mordermi. Io continuo a dire a me stesso: svegliami, svegliami, svegliami… come in un ritornello. Se non riesco mi morderà”.
E’ una tremenda lotta per svegliarmi. Non riesco a svegliarmi. Finalmente mi sveglio, ma sento che il sogno fa tutto per riprendermi e continuare la lotta. Mi lavo il viso; sono completamente sveglio. Mi viene la fibrillazione. Era un anno che non mi veniva, per fortuna mi è durata poche ore”. Una vicenda di lotta interna a fissazione intrauterina o, come dice Silvio Fanti, a fissazione iniziatica.
Parte II
Lo stadio iniziatico è il primo stadio di sviluppo dell’aggressività-sessualità. E’ stato introdotto da S. Fanti per completare con uno stadio di sviluppo fetale i tre stadi di S. Freud. Lo stadio iniziatico li prefigura tutti ed è durante tale stadio, nel confronto con l’ambiente uterino e con le risonanze aggressivo-sessuali che esistono in esso, che si stabiliscono le prime connessioni co-pulsionali e le strutturazioni psicobiologiche.
S. Fanti dice che durante il sonno sismico, il feto plasma il suo es, e tramite esso comincia a lanciare i primi pseudopodi del suo io e del suo super-io. L’apparato psichico ha una preformazione uterina che lascerà la sua impronta su tutta la formazione successiva. Il rimosso filogenetico è rimodellato per tentativi, in utero, in un confronto tra l’eredità psicobiologica delle linee ancestrali paterna e materna, in modo da costituire una amalgama originale e relativamente stabile dalla quale dipenderà il destino psicobiologico dell’individuo. Inoltre, in tale amalgama si potranno introdurre a caso dei tentativi non strettamente atavici, che determineranno l’originalità dell’individuo rispetto ai suoi ascendenti diretti.
Quello che ho definito confronto in realtà può essere considerato una vera e propria lotta, che sovente assume l’aspetto di una guerra: la guerra uterina.
Dal punto di vista psicobiologico, sul versante biologico, la dichiarazione di guerra avviene quando il sistema immunitario materno si scatena contro l’invasore genetico paterno.
Centinaia di milioni di spermatozoi, con la loro testata genetica paterna, sono già morti nell’avvicinamento all’ovulo, quello che sopravvive scarica il suo materiale, e da quel momento il prodotto che ne deriva, che sarà poi l’embrione-feto, avrà la guerra al suo interno. Secondo me, questo fatto provoca nell’embrione-feto una condizione di stato continuamente precaria. Un turbamento continuo del principio di inerzia che, quando lo sviluppo psicobiologico lo renderà possibile, sarà percepito come un vissuto psichico di fine imminente. Non è difficile reperire tale vissuto nei sogni dei bambini ed in quelli degli adulti. Un vissuto che, tra l’altro, si innesta nella pulsione di morte come esigenza di ritorno all’indifferenziato.
Quanti sogni d’angoscia ed incubi portano questo sentimento di fine imminente, rappresentato dal vissuto di cessazione della respirazione o dal suo contrario: l’aspirazione in un buco senza fine! Anche dal punto di vista dell’elaborazione cinematografica non mancano i film di fantascienza in cui le astronavi vengono aspirate dai cosiddetti “buchi neri”, zone di distorsione dello spazio-tempo in cui possono accadere i fenomeni più inverosimili, persino di ritrovarsi nella propria camera al momento della propria nascita (v. il film di Kubrik, 2001: Odissea nello spazio). Una fantasia onirica che si ritrova nei sogni dei morenti, nelle persone in coma profondo poi rianimate. Il percorso di un tunnel che porta verso la luce.
E poi, in quanti sogni ed elaborazioni associative viene espresso il vissuto dell’alieno, il mostro che invade! E’ quasi una costante che riappare nei sogni delle donne in gravidanza. Una gravidanza che fa loro rivivere le esperienze reali e fantasmatiche di tipo iniziatico. Di fatto l’embrione-feto deve aver esperito in modo costante il vissuto dell’alieno, dell’invasore o comunque dell’emigrante perseguitato.
Come ho già detto nei sogni dei bambini sono continuamente presenti mostri, fantasmi, extraterrestri, insomma entità aliene che si presentano nella vita psichica dei soggetti, allo scopo di mettere in pericolo la loro vita o quella dei loro cari, specialmente delle loro mamme. Insomma il fantasma dell’alieno, potrei dire il concetto dell’alienità, è ben fissato nello psichismo umano ed ha come fantasma speculare (direi desiderio inconscio, preconscio, conscio) quello di essere un clone. Una traduzione in termini psicobiologici del conflitto tra il vuoto (indifferenziato) e la sua organizzazione energetica (differenziato).
Anche per quanto riguarda l’organizzazione cellulare è presente lo stesso dato.
La differenziazione è progressiva e relativa. Lo stesso fenomeno succede per la formazione del pensiero e dell’espressività figurale e verbale. Probabilmente la stessa cosa succede per il sogno. Se vogliamo fare uno sforzo di immaginazione e cerchiamo di ipotizzare l’esistenza di un codice espressivo onirico fetale che rappresenti le tracce sensorio-motorie, probabilmente dobbiamo pensare ad una somiglianza con ciò che succede nel bambino rispetto all’espressività grafica. Lo scarabocchio del bambino prima di differenziarsi può rappresentare indifferentemente una molteplicità di oggetti del suo mondo affettivo, percettivo e sensoriale. Secondo me, l’espressività onirica del feto, almeno negli ultimi periodi della sua formazione, può essere paragonata a quella espressa nel disegno infantile. La percezione onirica fetale registra le fluttuazioni della tensione neutra con forme puntilistiche in movimento. Forme che diventano lineari e si esprimono in curve simili a quelle di Peano o di Mandelbrot (i frattali). A sostegno di questa tesi intuitiva posso dire che, sia i bambini che gli adulti in micropsicoanalisi, parlano sovente di sogni ricorrenti in cui vengono espresse, in vari modi, solo le variazioni di tensione, tipo chiaro-scuro, rumore-silenzio, caldo-freddo. Tali percezioni si accompagnano a segnalazioni geometriche; sogni cioè che si manifestano in forma di onde, punti, puntini, losanghe, cubi, rocchetti, gomitoli od altre figure geometriche descritte in movimento e secondo criteri topologici (sopra-sotto, dentro-fuori, ecc.). A volte sono figure in movimento che si allontanano, si avvicinano, travolgono il sognatore. Non si presentano nel modo antropomorfico o zoomorfico tipico dell’incubo, pur conservandone l’intensità invasiva dell’affetto e la reattività biologica.
Ecco uno di questi sogni raccontato in seduta da un uomo di sessant’anni; un sogno ricorrente sin dall’infanzia, che poi è scomparso con l’analisi. (Sogno 7):
“Si tratta di un nucleo a spirale che mi viene contro. Ingrandisce progressivamente. La partenza del nucleo a spirale mi porta la stessa situazione angosciosa dell’incubo. E’ una cosa che si allarga e perdi tutto: il tempo e la coscienza di te. E’ l’inverso del movimento del rocchetto. Quello del rocchetto (una variante del sogno della spirale) è un meccanismo di implosione; hai la sensazione di cadere in un buco nero e ti lasci galleggiare senza peso, senza direzione. Tutto viaggia in modo automatico, sei una foglia trasportata dal vento. C’è l’assenza totale di sentimenti, ma dura poco, la rabbia ti riaggancia alla vita”.
Una descrizione magnifica del contraccolpo ideico, quindi aggressivo, che ferma il viaggio nel vento della pulsione di morte verso la vacuità dell’indifferenziato.
Parte III
Cercherò in questa terza parte di inserire ancora qualche esempio per illustrare ciò che ho esposto poc’anzi, vale a dire la trasformazione delle tracce sensorio-motorie in espressioni oniriche figurali e verbali.
Chiedo ad una bambina di quattro anni se sogna, mi risponde di sì. (Sogno 8):
“C’erano le streghe che mi volevano mangiare; mi volevano far bollire nel pentolone”.
Le chiedo ancora: “Quando eri più piccola sognavi?” Risponde senza esitazione: “No, prima vomitavo”. Associa immediatamente il materiale del sogno al vomito. Una bella interpretazione del sogno come proiezione e della proiezione come funzione corporea di rigetto. Nell’interpretazione della bambina il sogno ha sostituito il vomito. Il conflitto orale risolto con il vomito viene mentalizzato e risolto con il sogno.
In chiave iniziatica-edipico-orale c’è il richiamo al pericolo di distruzione corso nel pentolone-ventre materno. L’affetto di una traccia sensorio-motoria espulsiva, che evidentemente indica l’esistenza di un momento altamente conflittuale nella diade feto-materna, si fissa nel protopsichismo fetale e quando il conflitto si riattiva, dopo la nascita, può essere espresso con un riflesso difensivo somatico oppure essere elaborato in un sogno in cui viene descritta una situazione di pericolo di morte.
Ecco un altro esempio tratto dal materiale di una giovane donna in micropsicoanalisi (Sogno 9):
“Io da piccola sognavo sempre un’onda. La pensavo anche di giorno e mi faceva una grande paura. Era una pulsazione, una cosa dentro, come il battito cardiaco. La stessa sensazione che sento sul pube quando sono eccitata sessualmente”. Sta qualche momento in silenzio e poi aggiunge: “Il mio sogno ricorrente era di sentirmi a cavalcioni sul tronco di un albero. Sentivo come un risucchio che mi assorbiva, mi tirava, mi faceva una paura immensa. Ancora oggi ho paura delle crepe; che si aprano e mi inghiottano”.
Una manifestazione di ciò che definiamo angoscia del vuoto; che esprime anche il desiderio di ritorno all’indifferenziato del vuoto, che, come ho già detto prima, si serve della pulsione di morte e si manifesta sovente con desiderio di ritorno al ventre materno.
Terminerò questa serie di osservazioni e riflessioni con due esempi rispetto ai vissuti angosciosi di caduta nel vuoto o meglio di aspirazione sfinterica.
In soggetti parzialmente o totalmente impotenti si verificano sovente fantasie oniriche o elaborazioni associative, in cui viene espresso chiaramente il timore-desiderio di ritorno in utero tramite aspirazione vulvare. Produzioni angosciose che tuttavia, nell’economia generale della dinamica del dispiacere-piacere (tensione-distensione), soddisfano desideri inconsci di ritorno all’indifferenziato parziale della simbiosi uterina.
L’inibizione parziale o totale della funzione coitale, tramite un’erezione difettosa o assente, è una difesa per salvare l’integrità di se stessi come insieme strutturato di tentativi. La rinuncia ad una funzione utile per la specie, ma non indispensabile per l’individuo, fantasmaticamente salva la vita. Un po’ come una lucertola che rinuncia alla coda pur di scappare e salvarsi. Secondo me, è la manifestazione di un proto-Edipo uterino in cui l’entità psicobiologica in formazione deve destreggiarsi nella guerra uterina che si svolge nel campo di battaglia della sinapsi feto-materna, tra le matrici psicobiologiche, ereditarie, paterne e materne. Tenta una fuga impossibile che si imprimerà in una traccia che verrà poi espressa tramite l’inibizione di una funzione collegata con la riproduzione. Il sintomo, l’impotenza, certo procurerà sofferenza, ma eviterà il pericolo di rivivere (per proiezione-identificazione) procreando, il vissuto fetale di morte.
Tali fantasie sono presenti anche in soggetti non inibiti rispetto alla funzione coitale riproduttiva. Porto due casi; il primo tratto dall’osservazione di un bambino di cinque anni, l’altro dal materiale di un uomo in micropsicoanalisi, di circa trentacinque anni.
1) Il bambino sta ponendosi i problemi fondamentali della vita. La vita, il sesso, la riproduzione, la morte. I vivi “hanno l’aria nella pancia”, i morti “non hanno l’aria nella pancia e sono nel buco”. I bambini nascono dalla casa e i cagnolini dalla pancia della loro mamma; una teoria che estenderà poi agli esseri umani. Ha preso atto dell’esistenza del pene, tanto che propone al padre uno scambio. Voleva che il padre gli desse il suo “più grosso”. Quando il padre gli aveva detto “ma come farò a fare la pipì”, il piccolo gli aveva risposto velocemente “la fai con il buco, come le bambine”. Si erano così creati dei solidi legami associativi tra la morte e il buco, tra il buco e le femmine e tra le femmine e la nascita dei bambini. Inoltre si era costituita l’associazione, direi permanente, tra vita e respirazione. Chi ha l’aria nella pancia, dove stanno anche i bambini, è vivo; chi non ce l’ha è morto ed è nel buco. Il buco dal quale esce anche l’urina. Poco tempo prima aveva detto che i pesci nascono dal fiume. Quindi, in una teoria uretrale-fallica della nascita venivano riassunti gli elementi che anche i grandi filosofi greci ponevano alla base della vita e della morte: l’aria e l’acqua.
Ecco l’osservazione: “La lavatrice è in funzione; inizia la fase di ricambio dell’acqua, una massa d’acqua scorre nel lavandino dove si trova una grande pentola con in centro un cucchiaio. Il bambino si mette ad urlare agitatissimo e indica la pentola. La madre la toglie dal lavandino e gli chiede perché si è spaventato e messo ad urlare. La risposta è: ‘Perché avevo paura che andasse giù lì, nel buco (lo scarico del lavandino)’. La madre spiega che un oggetto grande non può essere assorbito in un buco piccolo. Il bambino sembra aver capito. Poco dopo la scena si ripete e la reazione del bambino è la stessa, compresa la spiegazione: ‘avevo paura che andasse giù lì, nel buco’”. Se si riflette, in fondo, un bambino quando nasce è un oggetto grande che passa per un buco piccolo. Evidentemente l’esperienza sensorio-motoria di tale passaggio fornisce un sostegno, per la spiegazione del fenomeno da parte del bambino, più valido delle esperienze successive, compresa la spiegazione della madre. La sua spiegazione potrebbe essere il contenuto manifesto di un sogno in cui venga espresso il timore-desiderio di ritorno all’utero tramite aspirazione da parte del buco.
2) La persona di cui parlo ha già un’esperienza analitica passata. Ha tuttavia la tendenza a fare delle libere associazioni che la fanno entrare in una sorta di ideazione velocissima che, in altri tempi, l’avrebbe portata al delirio. E’ evidente che agisce in lei un meccanismo coatto di progressiva messa in tensione che si risolve sovente in un movimento reale, agitazione psicomotoria e fughe, altre volte con un’ideazione velocissima ed una verbalizzazione delirante. I sogni sono metaforicamente scarabocchiati, confusi e includono insiemi di automobili in manovra e di scontri compiuti o appena evitati. Una situazione che mi fa pensare ai movimenti a scossa ed alla motricità vermicolare del feto. La sola cosa da fare per me, durante le tre ore di seduta, è di pormi come massa, cioè di fare in modo, con opportuni interventi, che la velocità associativa rallenti. L’operazione ha successo e la distensione è espressa nel sogno seguente. (Sogno 10):
“Andavo a pesca, avevo imbrogliato i fili, mi sono armato di pazienza e ho disfatto i nodi. Ho sbrogliato i fili”.
In seduta scrivo un commento: “Il sogno si fa in noi secondo una forma con tentativi contrastanti; quindi esprime il conflitto. Andare a pesca, imbrogliare il filo per poi sbrogliarlo. Ripetere l’operazione in maniera ossessiva. Andare in seduta ed imbrogliare le associazioni per poi sbrogliarle, E ancora ripetere, nel tentativo ossessivo di comporre il conflitto e così via in un eterno dilemma: l’ossessione o il delirio.
L’ossessione, cioè il vortice della coazione a ripetere, fa da diga al delirio. D’altra parte, l’aumento della velocità del vortice cioè il delirio è l’unico mezzo per sfuggire all’ossessione che fa soffrire tremendamente. Diventare pazzi per soffrire di meno”.
Avevo appena finito di scrivere questa frase che l’analizzato dice: “Io vivo all’interno del mio conflitto che sostituisce il corpo di mia madre. Ho sostituito il corpo di mia madre con un conflitto: mi protegge dal vuoto. Ho paura del vuoto, ho paura di morire. Nella mia mente vuoto e madre si confondono. Il mio vuoto è una crepa che si riempie di incubi. Una crepa, una voragine affettiva. L’ossessione è una presenza. Ho fatto tante cose nella mia vita. Ho cercato di scappare nei miei viaggi incoerenti, anche quelli chimici dell’LSD. Di correre nelle mie fughe deliranti”.
Rimane un poco in silenzio e poi dice con voce calma: “Sono un muratore: ho passato la vita a cercare di tappare dei buchi”. Ancora un lungo silenzio. Un silenzio calmo, neutro e poi con voce lontana ma sicura: “Il mio desiderio è quello di tornare ad essere una particella indifferenziata dell’universo; di poter rovesciare il processo che mi ha fatto. Il mio sogno è quello di essere una cellula del corpo di mia madre”.