Intervista rilasciata dalla dott.ssa Bruna Marzi all’Università di psicoanalisi di Mosca il 4 aprile 2020
Innanzitutto vorrei dire che la quarantena non è una punizione, bensì una difesa.
Vivo a Bergamo, la città che è considerata l’epicentro dell’epidemia italiana del coronavirus.
Secondo i dati ufficiali nella provincia di Bergamo, dove vivono 1.100.000 persone, nel mese di marzo sono morte 2026 persone. Questi dati riguardano solo le persone decedute negli ospedali.
Recentemente, i sindaci dei comuni della bergamasca hanno condotto un rilevamento della reale mortalità della popolazione. I risultati hanno evidenziato un dato che si discosta di molto da quello ufficiale: nel mese di marzo, nella provincia di Bergamo, sono decedute 5400, delle quali 4500 sono riconducibili al coronavirus. Un dato che, se confrontato con quello degli ultimi 10 anni, ci parla di un incremento di 6 volte. Gli esperti di statistica hanno detto che nella nostra provincia ci sono circa 380.000, una cifra molto distante da quella ufficiale di 9000. La domanda sul perché proprio la Lombardia e la provincia di Bergamo siano state così gravemente colpite dalla pandemia, resta ancora senza una risposta esaustiva.
Non è mia intenzione fare degli allarmismi, ma questa è la realtà: gli specialisti riconoscono che, sebbene il Covid-19 appartenga alla famiglia dei coronavirus, di esso se ne sa ancora poco. Hanno iniziato a studiarlo da poco più di 3 mesi e per l’ottenimento di un vaccino saranno necessari 12/18 mesi. Per quanto riguarda la cura, nei diversi centri di ricerca dei paesi più all’avanguardia, gli specialisti stanno sperimentando diversi farmaci: antibiotici, antivirali, antinfiammatori, antimalarici, ecc., ma anche in questo campo, ancora non si è giunti all’individuazione di un farmaco che sia pienamente efficace per tutti i pazienti affetti dal virus.
L’unica difesa efficace è non infettarsi e per far ciò, dobbiamo mantenere le distanze tra di noi.
Secondo uno studio svolto all’Imperial College di Londra, relativo ai dati raccolti fino al mese di marzo, il distanziamento sociale ha salvato 120.000 vite.
Certamente la nostra vita è cambiata radicalmente. In Italia siamo in quarantena da 4 settimane e qualche giorno fa’ è stato comunicato che sarà prolungata almeno fino a metà aprile. Inoltre, le fonti ufficiali continuano a far presente che il ritorno al nostro stile di vita avverrà gradualmente, con il tempo. Bisognerà portare le mascherine e mantenere il distanziamento di sicurezza fino a quando non sarà scoperto il vaccino e si sarà raggiunta l’immunità di gregge.
Appare ovvio che ci stiamo confrontando con una situazione a noi sconosciuta, ma che non è stata vissuta neppure dalle generazioni che ci hanno preceduto; mi riferisco a quella delle ultime due generazioni prima di noi.
Molti confrontano questa situazione con la guerra. Cos’hanno in comune la guerra e la pandemia?
Entrambe possono essere causa di TRAUMI.
Nello specifico queste due situazioni mobilitano emozioni simili: la paura della morte, della perdita delle persone care, la paura della perdita del lavoro, la paura della fame. Insomma, la perdita di ciò che ci è familiare, conosciuto ed infatti, anche le risposte dei popoli nel mondo, sono state simili: ovunque la gente si è scaraventata nei supermercati ad acquistare ogni genere di prima necessità.
Tra le due situazioni, però, ci sono anche delle differenze, tra cui la più importante è che nella pandemia il nemico è sconosciuto, invisibile ed impercettibile; esso può essere per alcuni letale e per altri indifferente, ma nessuno sa a quale delle due categorie appartiene. Noi sappiamo solo che il coronavirus è un virus che si diffonde principalmente attraverso il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette, quando starnutiscono, tossiscono e si soffiano il naso. Pertanto il nemico può essere chiunque: il nostro partner che è costretto ad andare a lavorare, il vicino di casa che incrociamo quando usciamo per portare a spasso il cane o il corriere di Amazon che ci viene a consegnare un pacco.
Di fronte ad una minaccia esterna si attivano alcune reazioni volte al mantenimento di un equilibrio interiore. Si tratta di meccanismi difensivi che tendono a modificare la realtà esterna per renderla più tollerabile. Essi possono essere più o meno adeguati alla realtà, in funzione della situazione in cui si trova il soggetto al momento dell’evento.
Con il termine situazione intendo un insieme di fattori interni ed esterni di carattere ambientale, psichico e somatico. Ne citerò alcuni: l’età, lo stato di salute, i rapporti affettivi, le condizioni lavorative ed economiche.
Se i meccanismi difensivi continuano ad essere utilizzati anche quando il pericolo è cessato, essi diventano disadattativi, cioè possono essere considerati patologici. Questo è il trauma.
E’ opinione ampiamente condivisa tra gli psicoanalisti che traumatico non sia l’evento in sé, bensì la risposta inadeguata del soggetto nel momento in cui il pericolo cessa.
Quanto sopra per dire che l’attuale pandemia, un evento senza alcun dubbio traumatizzante, determinerà un trauma in alcuni soggetti ed in altri no, in funzione di diversi elementi di carattere esterno ed interno (sociale, relazione e psico-fisico) ed anche in funzione della portata degli eventi stessi.
Tra i cambiamenti della pandemia c’è la quarantena e il distanziamento sociale che richiedono capacità di adattamento.
Anche la capacità di adattamento dipende da diversi fattori.
Siamo costretti a stare a casa, a non muoverci, cioè a reprimere l’istinto al movimento.
Secondo la micropsicoanalisi l’uomo possiede un istinto fondamentale definito “istinto di tentativo”. L’istinto di tentativo è il motore che guida gli animali e tra essi l’uomo a muoversi per abbassare la tensione interna. Quest’attività può essere di carattere motorio o creativo: l’uomo si muove e pensa. L’attività motoria nel bambino è un indicatore della sua intelligenza: nella fase sensomotoria egli esprime la curiosità, la spinta alla conoscenza, tramite il movimento e la ricerca del contatto con gli oggetti sconosciuti. E’ stata proprio questa curiosità, ci dice E. Anati, che ha spinto l’Homo Sapiens alla ricerca di nuovi territori più adatti alla sopravvivenza. Questo stesso istinto spinge lo spermatozoo a cercare un contatto con l’ovulo al fine di garantire la sua stessa sopravvivenza e quella della specie. Questo stesso istinto spinge l’uomo a cercare mezzi sempre più sofisticati e veloci per potersi spostare, viaggiare, conoscere parti nuove del mondo e persone nuove. Ed è proprio la velocità di movimento di grandi masse di persone che ha determinato la diffusione del coronavirus in tutto il mondo.
Ciò vuol dire che la quarantena blocca l’aspetto motorio dell’istinto, obbligandoci a trovare nuove modalità di abbassamento della tensione.
Chi ne patisce maggiormente?
I bambini (non a caso, su suggerimento dei pediatri, sono state permesse uscite di un genitore con un figlio alla volta), i giovani la cui spinta pulsionale è più forte rispetto agli anziani, ma soffrono anche le persone anziane che hanno maggiori difficoltà di sublimazione, non possono comunicare con i parenti, non sono capaci di utilizzare gli strumenti informatici per collegarsi virtualmente con i parenti, o magari non li possiedono, si affaticano a leggere perché hanno difficoltà a concentrarsi. In generale patiscono tutti coloro che hanno difficoltà ad adattarsi a nuove condizioni di vita. Tra questi tutti coloro che fanno ricorso agli stupefacenti per abbassare la tensione. Le altre sostanze, pure in quarantena sono più facilmente raggiungibili: alcol, cibo e gioco d’azzardo.
In caso di mantenimento prolungato della quarantena si possono presentare comportamenti considerati inadeguati come: autolesionismo, aggressività nei confronti del partner e/o dei figli.
Si possono presentare anche comportamenti meno gravi, che però contravvengono alle disposizioni ministeriali di stare in casa, seppur a rischio di multe salate.
Per sopportare con minor sofferenza questa costrizione si consiglia di
- mantenere un regime sonno/veglia il più possibile vicino a quello abituale,
- ascoltar gli aggiornamenti sulla situazione solo dalle fonti ufficiali, non più di 2 volte al giorno e mai prima di andare a letto. Meglio guardare un film o leggere un libro
- mantenere i contatti con parenti ed amici con chat e video chiamate
- nello smart working mantenere l’orario della normale giornata lavorativa
- fare un movimento fisico e 2-3 volte una breve giro del palazzo
- dedicarsi a qualche hobby.
Dall’inizio della diffusione del virus in Cina abbiamo osservato 3 opposte reazioni:
- coloro che hanno pensato che si trattasse di un problema limitato alla Cina, che si trattasse di una semplice influenza, che si ammalassero solo le persone anziane. Questa reazione è stata molto diffusa. Basti guardare cosa è successo in Lombardia quando, alla fine di febbraio sono comparsi i primi casi di contagio: la maggior parte della popolazione era contraria alla quarantena e ancor di più alla chiusura della produzione, fino a quando gli annunci mortuari sul giornale locale sono passati da 3-4 a 60-70 al giorno. Questo fatto ci dice che nella psiche esiste un meccanismo generale definibile con il termine “onnipotenza narcisistica”.
- I sostenitori della teoria del complotto. Per questi il virus è prodotto in laboratorio e diffuso nel mondo a scopi politico-economici. Tra costoro ci sono quelli che accusano il governo di aver sottovalutato il pericolo e di non aver preso per tempo le misure per contenere il contagio. Ci sono anche quelli che se la prendono con l’uomo in generale per la mancanza di rispetto nei confronti della natura. Per costoro la pandemia sarebbe una specie di ribellione della natura e del mondo animale nei confronti dell’uomo che sarà condannato all’estinzione. In queste manifestazioni osserviamo la prevalenza della proiezione, un meccanismo psichico che è alla base del pensiero e del delirio paranoideo.
- Coloro che hanno una paura eccessiva del contagio, della malattia e della morte. La paura di morire può provocare due opposti comportamenti: il bisogno di consultare costantemente i medici per tranquillizzarsi, oppure l’evitamento di qualsiasi consulenza medica. Rientrano in questa categoria i nevrotici fobico-ossessivi e gli ipocondriaci.
- coloro che si rapportano in maniera più adeguata alla situazione e, pur preoccupandosi delle conseguenze di carattere personale ed economico connesse con la pandemia, mantengono un atteggiamento più adattato.
Secondo un’indagine svolta dal centro Engage Mind dell’Università cattolica di Milano, su un campione di 1000 italiani, per studiare le reazioni all’emergenza Covid-19, è emerso che solo il 16% è equilibrato e pertanto in grado di osservare le misure di quarantena e distanziamento sociale. Quindi la categoria n.4 da me descritta, costituirebbe il 16% della popolazione.
Ecco che nasce la necessità di tutelare il benessere sociale per poter scongiurare l’esplosione di emergenze di carattere psicologico.
I servizi organizzati dagli enti territoriali abbracciano ambiti e casistiche molto ampie tutte coinvolte nell’emergenza Covid-19. La consulenza e il supporto psicologico fornito da équipe di psicologi specializzati sono rivolti al personale sanitario degli ospedali, dei servizi territoriali e delle RSA, ai malati in ospedale e ai loro familiari, a coloro che hanno vissuto l’esperienza traumatica della perdita dei loro cari, ai malati dimessi e in isolamento domiciliare, ma anche a tutti coloro che stanno vivendo l’esperienza protratta della quarantena, con le incertezze e le preoccupazioni per il futuro.
Lo scopo di questo intervento ad ampio raggio è quello di ampliare quella ristretta percentuale di persone (16%), dotata di un grado di equilibrio e di adattabilità che li rende capaci di elaborare le conseguenze traumatiche di questa pandemia.
Insomma, oltre al vaccino e ai farmaci, per vincere questa battaglia abbiamo bisogno di acquisire “flessibilità” e “adattamento”.